Asylum

Dove sei, mentre il vetro mi gela le dita?

Non le sembrava d’essere mai stata così sola, prima.

Dove sei mentre la siringa quasi mi scivola dalle mani?

Il silenzio le premeva sulle tempie.

ANALISI FOTOGRAFICA:

Lei indugia in piedi nella vasca da bagno. Ha la pelle chiara, quasi trasparente. L’ambiente è freddo, intorno a lei, che a cucirglielo addosso le sarebbe un corredo perfetto. Cupo come il suo sguardo. Le pareti sono coperte di bianche piastrelle quadrate, come un puzzle senza disegno. Le fughe sono nere, la lieve bombatura lascia lucido il centro delle mattonelle di coccio, opacizzate invece ai bordi, di calcare e di sporco. Di fronte alla vasca, una fila di lavandini, sempre bianchi, senza specchi sopra, se ne vedono quattro. Lei ha gli occhi puntati in basso, le braccia, distese lungo il corpo, si incontrano all’altezza del pube: a congiungerle, una siringa di vetro. Le ginocchia sono vicine, a fare delle sue gambe quasi una X. Ha i capelli raccolti morbidamente dietro la nuca, con uno spillone.

Ho sperato cadesse, rompendosi, per non farlo.

Soffiò in una nuvola fredda un fiato di delusione.

Non ho più scuse per non andare fino in fondo. Temporeggio ancora un po’, che potresti arrivare a fermarmi, togliermi l’aria dalle mani e portarmi via, così, nuda, coprendomi con la tua giacca, e ti preoccuperesti per me.

Non poteva togliersi dalla testa quelle linee d’inchiostro. Quella lettera non sua, aperta con le mani tremanti. Dopo due concitati minuti, nulla era più come prima. Il mondo s’era mutato di forma, la confusione, in pochi istanti, si era tramutata in muta consapevolezza, una consapevolezza che non lasciava scampo: non sarebbe sopravvissuta a quel dolore. Avrebbe potuto accettare persino l’idea di non conoscerlo affatto. Avrebbe potuto ricominciare da capo anche con lui. Ma oramai nulla avrebbe cancellato dalla sua memoria quelle parole, le avrebbe riviste ogni giorno in ogni cosa, nulla sarebbe mai potuto tornare come prima e questo no, non poteva accettarlo.

Non ti vedrò, quando te lo diranno, quando lo scoprirai. Non avrò il tuo sguardo a tradurre il tuo dolore nell’amore che forse mi vuoi, nonostante tutto. Mi conforterebbe sapere che soffrirai. Ti consolerei abbracciandoti, che non sopporterei di vederti piangere, ma non ci sarò ed ho bisogno di sapere che mi avrai a mancare. Domani inizierà senza di me, senza di noi. Poiché non c’è sillaba che non ricorderei di quelle parole che ho letto e che mi stanno scavando come larve della carne, nel cervello.

Fu un soffio, un attimo. La siringa è vuota era carica, aveva il peso di una vita intera.